Amo vedere l’architettura come un sogno condiviso, l’armonia di un’essenza spirituale, un processo generato dalla natura delle cose.
E’ un pensiero che mi riporta alle città medievali, nelle quali ogni elemento tiene conto delle relazioni con tutti gli altri, dalla forma del terreno, all'orientamento, alle vedute, alle correnti di traffico. La città è un unico interno a quel giro di mura che le avvolge, un unico edificio, articolato in più percorsi. Una unitarietà che non nasce da un’imposizione formale ma dalla sperimentazione di un progetto collettivo in risposta a esigenze concrete e profonde.
Condivido l’idea di Bachelard che l’uomo sia una creazione del desiderio e non del bisogno e mi rispecchio nel pensiero di Marguerite Yourcenaur: “Costruire significa scoprire sotto le pietre il segreto delle sorgenti”.
Ogni progetto è, dunque, una narrazione che si fa pietra, l’apertura di "un mondo" poetico ed essenziale.
In questa mia più ampia visione trova un ruolo decisivo la necessità di instaurare una relazione di empatia col committente e/o col fruitore, una relazione intima, che possa rendere visibile l’invisibile, fondata su un profondo processo di appropriazione-espropriazione.
La fase successiva è il passaggio dalla narrazione alla costruzione: il contributo delle maestranze e della loro sapiente esperienza, il rapporto vivo con i materiali e le tecnologie in continua evoluzione, la cura del dettaglio.
L’opera che prende forma è come un figlio che va accompagnato dolcemente con discrezione ma anche con distacco, alfine di non sopraffarlo. Commistione e distacco sono le opposte forze in gioco che utilizzo in questa mia ricerca dell’invisibile.
In questo appartamento, ubicato al limite esterno del centro storico di Norcia, con doppio affaccio, da un lato verso il calore e la suggestione di una tipica strada cittadina di impronta medievale, dall’altro verso l’ampio e lussureggiante contesto naturale della campagna umbra, ho incontrato una committenza sensibile e colta, desiderosa di trasformare un’anonima mansarda in un luogo ospitale per trascorre con gli amici dei piacevoli momenti di convivialità.
Filo conduttore del progetto è stato il concetto di dinamismo spaziale, perseguito nell’articolazione fluida di ambienti posti in successione visiva, proiettati verso significativi elementi focali (“object a reaction poetique” di lecorbusierana memoria). Gli ambienti luminosi, prevalentemente bianchi, acquistano complessità chiaroscurale, grazie all’illuminazione studiata per enfatizzare volumi e materiali.
Pochi i tocchi di colore, presenti nei rivestimenti, negli arredi minimali e nei complementi.
Nel bagno padronale l’omogeneità cromatica del rivestimento di Tau Ceramica trova sprazzi di colore nei mosaici “Le Gemme” di Bisazza.
La zona cucina, arredata con i componibili di “Maistri” si tonalizza col “canna di Fucile” dell’ampia cappa artigianale gravante sul tavolo/barbecue. La retroilluminazione del vetro dell’alzata e la brillantezza della resina di “Gobetto” utilizzata per i piani, accentuano i contrasti e la luminosità generale.
Sempre in resina di “Gobetto” l’ampia superficie che incornicia il camino nella zona living (trattata come una tela pittorica), le pedate della scala che conduce al soppalco, la pavimentazione dello stesso soppalco che, senza soluzione di continuità, risale lungo la seduta/parapetto.
Lo sguardo nel vagare per lo spazio fluido, si posa, infine sui caloriferi di “Brem Art”, collocati, come fossero opere d’arte, in punti focali, dove l’illuminazione ne accentua la marcata matericità.